I CENTO PASSI
Cento passi soltanto separano la casa
della famiglia Impastato da quella di don Tano Badalamenti, boss della mafia di
Cinisi; e, come Giordana fa dire all’amico in una delle scene finali, questi
stessi cento passi sono, in tutta la Sicilia, l’impercettibile
distanza tra due mondi, quello della malavita e quello della gente “perbene”.
Il giovane Peppino, campione della denuncia politica e sociale nella Sicilia
degli anni settanta, figlio e nipote di mafiosi, lotta contro le sue radici, di
sangue e culturali, mettendo in scena la spesso fallimentare ribellione di un
paese intero contro la sua anima più profonda e inconfessabile. Il confronto
con i padri, che siano quelli biologici o spirituali, supera ampiamente la
dimensione angustamente ideologica che qua e là il regista sembra prediligere,
per riproporsi su un piano molto più profondo, dell’identità e della libertà
individuale. Quanto Peppino è libero di oltrepassare i ristretti confini della
sua Cinisi? Quanto invece è costretto a fronteggiare le miserie di quella
realtà? L’America e i figli dei fiori sono troppo
lontani per chi è invischiato nei riti e nei codici di un mondo arcaico, dove
le donne vestono sempre e comunque il nero e persino le cravatte sono regali
troppo pretenziosi. Non manca a Marco Tullio Giordana l’intelligenza di scavare
a fondo in questa direzione, partendo dalle bellissime scene iniziale della
festa di famiglia e dell’infanzia di Giuseppe, e continuando con la altrettanto
ben fatta rappresentazione dei tormentati rapporti tra Peppino e la sua
famiglia, in una biografia autorizzata di un ragazzo siciliano tanto uguale
quanto diverso dai suoi coetanei. La forza delle emozioni è gestita da Giordana
con ammirevole equilibrio e senza lasciarsi prendere la mano; e Lo Cascio è semplicemente
straordinario nel dare volto e anima a un Peppino Impastato pulito, simpatico,
per niente eroico e molto vicino allo spettatore (ma il cast merita di essere
promosso tutto, senza eccezioni). La nota infelice, forse più per chi non ha
vissuto gli anni della contestazione, è rappresentata dal tema politico, dove
più volte i dialoghi prendono le sembianze insopportabili delle parole d’ordine
e dei proclami alle aule occupate: ed essa è aggravata dalla colonna sonora
ruffiana che non risparmia il finale, con le note di “Whiter
shade of pale” ad appesantire inutilmente la sequenza del funerale di Peppino.
Al di là di tale vena inutilmente militante, comunque, “I cento passi” è un bel
film, fotografato e soprattutto girato molto
bene, che restituisce la giusta riconoscenza a un uomo eccezionale come
Giuseppe Impastato.
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